Il ramo aziendale conferito a Safab S.p.A., pur contraddistinto da una organizzazione aziendale altamente qualificata e specializzata, da un significativo portafoglio lavori, nonché da certificazioni tali da consentire la partecipazione a commesse pubbliche di notevole rilevanza (per informazioni di dettaglio si rimanda al link del menù "Safab ante liquidazione"), era gravato da una notevole esposizione debitoria, specie nei riguardi del sistema bancario, tant'è che, già a partire dal maggio 2010, Safab S.p.A. avviava un "tavolo" di trattative con gli Istituti di credito volto al risanamento, nella prospettiva di cui all'art. 67 l.fall.
In una situazione societaria già non semplice, ma che presentava i "fondamentali" per un futuro imprenditoriale di sicura ripresa, giungeva, inaspettatamente, il 23 novembre 2010, un provvedimento del Prefetto di Roma, prot. n. 220406 (di seguito, il "Provvedimento Prefettizio"), il quale, ravvisando continuità tra la conferente il ramo aziendale e la conferitaria (vale a dire, tra Gesafin Immobiliare S.p.A. e Safab S.p.A.), emetteva un'informativa antimafia ai sensi dell'art. 10, comma 7, lett. c), D.P.R. n. 252/1998. Gesafin Immobiliare S.p.A. (come rilevato, già S.A.F.A.B. - Società Appalti e Forniture per Acquedotti e Bonifiche S.p.A.), infatti, era stata destinataria di un provvedimento del Prefetto di Roma, in data 25 novembre 2009, prot. n. 91575, ai sensi dell'art. 10, comma 7, lett. c), D.P.R. n. 252/1998. Peraltro, la supposta continuità con la "vecchia" gestione veniva ravvisata nella permanenza in carica di alcune figure apicali (amministratore unico e presidente del collegio sindacale, nessuna delle quali, per il vero, indagata), che la "nuova" gestione aveva ritenuto di mantenere, perché si era "affacciata" ad una realtà aziendale senza una propria struttura operativa, con la conseguenza di doversi necessariamente "appoggiare" alla struttura esistente.
Per effetto del Provvedimento Prefettizio, alcuni committenti esercitavano il recesso (da Safab S.p.A. contestato per difetto dei presupposti), mentre altri sospendevano l'esecuzione dei contratti in essere, persino con riguardo al pagamento di lavori certificati, fonte, dunque, di crediti certi, liquidi ed esigibili (per una più diffusa esposizione delle diverse posizioni, si rimanda alla relazione sulla gestione concernente il bilancio dell'esercizio 2010, disponibile sul link del menù "Safab ante liquidazione").
Il Provvedimento Prefettizio veniva prontamente impugnato dinanzi al TAR Lazio, chiedendosene l'annullamento. Nel frattempo, in data 28 gennaio 2011, Safab S.p.A. aveva presentato istanza, sempre al Prefetto di Roma, volta all'aggiornamento dell'informativa antimafia, avuto riguardo al mutamento delle richiamate figure apicali, sì che la (attuale) Safab S.p.A. non presenta alcuna, sia pur solo nominalistica, connessione con Gesafin Immobiliare S.p.A.
La Safab S.p.A. era fermamente convinta che sarebbe stata ad essa restituita e garantita la libertà di intrapresa, facendo affidamento sul fatto che l'aggiornamento della certificazione antimafia intervenisse in tempi rapidi e, comunque, non oltre il termine previsto dall'art. 2, comma 2, della legge 241/1990, vale a dire trenta giorni.
I significativi effetti pregiudizievoli, prodotti in capo a Safab S.p.A. dall'inescusabile ritardo della Prefettura nel procedimento di aggiornamento, producevano, invece, una situazione di sostanziale stallo delle attività, che, tuttavia, nelle more della decisione del TAR Lazio e confidando sia in essa sia nell'aggiornamento del Provvedimento Prefettizio nei tempi prescritti dalla legge 241/1990, riteneva di mantenere i necessari presidi nell'ambito della propria struttura operativa, attivando, comunque, tutti gli accorgimenti possibili per mitigare le perdite – azionando, prima in data 23 dicembre 2010, la procedura di cassa integrazione guadagni ordinaria a partire dal 3 gennaio 2011, e, dopo, come si rileverà, quella straordinaria per crisi aziendale, con decorrenza dal 23 maggio 2011; ciò, tuttavia, non impediva di generare significative perdite.
Quanto innanzi indicato, e i buoni risultati ottenuti nell'esercizio 2010 consentono, quindi, di apprezzare, con immediatezza, non soltanto i significativi pregiudizievoli effetti prodotti in capo a Safab S.p.A. dal ritardo della Prefettura, ma anche e soprattutto le altrettanto significative intrinseche potenzialità che la società stessa avrebbe potuto esprimere, una volta rimossi – quanto meno nei successivi trenta giorni dall'istanza presentata il 28 gennaio 2010 – i "presupposti" che ne avevano e ne hanno, sino ad oggi, condizionato e impedito la piena operatività; da ciò chiaramente emerge che il negativo risultato economico realizzato, nel corso del 2011, lungi dall'esprimere inefficienza e/o inadeguatezze strutturali e permanenti, è invece, in via esclusiva, l'effetto di fatti e/o circostanze esogeni, connotati e qualificati da assoluta contingenza, che, se e in quanto avessero trovato positiva definizione e risoluzione nei tempi dettati dalla legge 241/2001, avrebbero consentito a Safab S.p.A. di tornare ad esprimere le apprezzabili potenzialità di cui era dotata.
Diversamente dalle aspettative, il TAR Lazio, con sentenza 5 maggio 2011 n. 3885, respingeva il ricorso, così definitivamente aprendo lo stato di crisi (quantunque tale sentenza venisse immediatamente impugnata dinanzi al Consiglio di Stato). Safab S.p.A., pertanto e come già anticipato, si trovava costretta a richiedere l'accesso al trattamento straordinario di integrazione salariale, per la causale "Crisi Aziendale", zero ore, per la durata di 12 mesi, a partire dal 23 maggio 2011.
In data 19 luglio 2011, l'appello, avverso la sentenza n. 2885/2011 del TAR Lazio, veniva rigettato dal Consiglio di Stato con sentenza n. 4360/2011.
Nelle more, con atto notificato il 27 giugno 2011, Safab S.p.A. diffidava il Prefetto di Roma a provvedere, senza ulteriori indugi, sull'istanza di aggiornamento dell'informativa antimafia, presentata il 28 gennaio 2011. Si è già rilevato in precedenza che il (nuovo) provvedimento prefettizio, infatti, era giudicato decisivo ai fini della ripresa dell'attività d'impresa e di un risanamento nella direzione della continuità aziendale; in difetto, si sarebbe dovuto procedere, come di fatto si è proceduto, alla liquidazione. Di più: il nuovo provvedimento prefettizio era un atto dovuto, da emettere nei brevi termini di legge. Donde l'azione risarcitoria, radicata innanzi al TAR Lazio nei confronti della Prefettura di Roma (R.G. 9866/11), perché l'inescusabile ritardo ha concorso, in misura determinante, alla nullificazione del valore aziendale.
Questi due "scenari" alternativi, di continuità ovvero di liquidazione, venivano rappresentati ai creditori aziendali nel corso di svariate riunioni tenutesi nel mese di luglio, volte ad illustrare i contenuti di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis, comma 1, l.fall., per l'appunto, di continuità oppure di liquidazione. Nelle more e al fine di preservare la par condicio creditorum, Safab S.p.A. riteneva opportuno ricorrere alla tutela interinale apprestata dall'art. 182-bis, comma 6, l.fall. e, di conseguenza, in data 29 luglio 2011, depositava il relativo ricorso, con la documentazione prescritta ex lege. Con (sorprendente) provvedimento dell'8 agosto 2011, il Presidente di turno della sezione fallimentare disponeva la fissazione dell'udienza al 20 settembre 2011. A tale udienza, il g.d., dott. De Palo, non poteva che prendere atto dell'improprio provvedimento precedente e fissare al 20 ottobre 2011 l'udienza per la verifica della concedibilità (recte, confermabilità) della tutela interinale. Pertanto, con grave ritardo, certamente non imputabile alla Safab S.p.A., l'udienza prevista dal comma 7 dell'art. 182-bis l.fall. si teneva soltanto verso la fine di ottobre: ad essa intervenivano svariati creditori, tre dei quali, irritualmente, manifestavano opposizione. Il Tribunale, con decreto del 3 novembre 2011, rigettava il ricorso ex art. 182-bis, comma 6, l.fall., sulla base di taluni argomenti scarsamente persuasivi (tra i quali il già avvenuto decorso dei tre mesi di tutela transitoria di cui al comma 7 di detta norma), tanto che Safab S.p.A. riteneva di proporre reclamo (discusso, dinanzi alla Corte d'Appello di Roma, lo scorso 16 febbraio 2012).
Nel frattempo, in data 4 agosto 2011, finalmente la Prefettura di Roma consegnava, in una con il nuovo certificato antimafia, anche la nuova informativa. Tale informativa, pur non facendo emergere cause ostative (e, dunque, tale da consentire la ripresa dell'attività lavorativa), veniva, però, emessa in forma "atipica", vale a dire con talune notazioni, la cui rilevanza la Prefettura rimetteva alla valutazione delle stazioni appaltanti. Tuttavia, quelle notazioni erano clamorosamente erronee, come immediatamente contestato da Safab S.p.A. (vedi il citato ricorso innanzi al TAR Lazio, recante n. R.G. 9866/11).
Quella informativa "atipica", quantunque – va ribadito – del tutto errata, veniva, però, in concreto, giudicata tale da precludere la continuità aziendale, inducendo, nel ceto bancario, a cui era stata chiesta l'erogazione di nuova finanza, il convincimento della precarietà del futuro imprenditoriale. Si apriva, così, inevitabilmente, la "via" della messa in liquidazione di Safab S.p.A., la quale, peraltro, continuava fermamente a perseguire la stipulazione di accordi di ristrutturazione dei debiti (liquidatori) ex art. 182-bis, comma 1, l.fall., in ragione di una disponibilità di massima manifestata, per le vie brevi, dal ceto bancario e dalla sostanziale assenza di rilievi da parte dei fornitori, in ultimo all'udienza del 20 ottobre. In tale prospettiva, e coerentemente, Safab S.p.A., intorno alla metà di novembre, inviava a tutti i creditori coi quali pendevano trattative, una proposta di accordo di ristrutturazione.
Sennonché, intorno alla seconda metà di dicembre, da un canto, le adesioni comunicate dai creditori appartenenti al "ceto" dei fornitori non risultavano soddisfacenti (pur non essendovi stata pressoché nessuna manifestazione di diniego) e, dall'altro, nel ribadito interesse di larga parte del "ceto" bancario verso l'accordo di ristrutturazione, emergeva la preferenza per un diverso "scenario" di liquidazione patrimoniale rispetto a quello già proposto a tutti i creditori, tale da non consentire di riavviare le trattative con essi, tenuto conto dello stato di crisi e del tempo trascorso. Di qui l'avvio di un alacre lavoro volto alla predisposizione di un (diverso) piano di liquidazione concordataria, quantunque Safab S.p.A. abbia, dichiaratamente, continuato a mantenere aperta la possibilità della soluzione dello stato di crisi attraverso lo "strumento" dell'accordo di ristrutturazione dei debiti.
Di qui, in particolare, la richiamata delibera assembleare, del 25 gennaio 2012, nella quale si è approvato il Piano di Liquidazione ed il liquidatore è stato autorizzato a presentare ricorso per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo.
Il ricorso, come già riferito, è stato presentato in data 9 marzo 2012.